Ho visto Benigni a Sanremo 2020 e ho pianto di commozione. E di tristezza, poco dopo…
Nel corso della terza serata del Settantesimo Festival della Canzone Italia ho avuto la fortuna, assieme ad altri 11 milioni e spiccioli, di essere fra coloro che hanno potuto godere dello straordinario monologo del Maestro Roberto Benigni sul Cantico dei Cantici. Ne ho goduto per la bellezza delle parole dell’artista, per il valore (“Diamante” lo ha definito l’attore) del testo proposto nella sua primigenia versione. Ne ho goduto per l’altezza inarrivabile dell’eloquio, per lo stupore sincero, per il lavoro di esegesi, per la spiegazione data a milioni di italiani sull’importanza di questo testo che il potere secolare della Chiesa aveva sepolto sotto mille rivisitazioni e altrettante edulcorazioni.
Si è parlato di sesso, finalmente.
Quello che ho amato di più, da padre, è stata la potenza di Benigni di aver riportato alla luce il sesso come linguaggio dell’amore, liberandolo da ogni pregiudizio, mercificazione, uso commerciale. Il sesso è stato utilizzato come un maglio per spaccare il sessismo, il salvinismo, il benaltrismo e tutti gli ismi di cui ci riempiamo la bocca. Già, anche il fascismo o l’antifascismo, il razzismo o l’antirazzismo. Trenta minuti di Benigni in cui il Maestro ha parlato di un testo della Bibbia che parla del sesso come del linguaggio più puro dell’amore e come momento di libertà, parità, unione assoluta. “E’ la canzone delle canzoni – ha detto Benigni -. E’ la canzone dell’amore, di tutti gli amori. E’ la canzone di un uomo e una donna che si baciano, di un uomo e un uomo, di una donna e una donna”. Si, cazzo. Benigni in 30 minuti ha mandato a carte 48 il Sanremo più vecchio, trascurato, tradizionale, reazionario e trasandato che si sia mai visto in 70 anni. Ha mandato un fascio di luce piena addosso a milioni di persone, da un teatro che, però (e qui è scattata la tristezza) non lo ha applaudito con i 5 minuti di standing ovation che meritava.
Eh, però, Benigni.
Già, perché quando ha parlato del sesso come del momento più alto di amore senza distinzione di genere, la Rai Uno salvinesca non lo ha proprio proprio gradito. Quando ha recitato un Cantico che mette la libertà e la potenza dell’uomo tra le cosce di una donna o sui suoi seni, ai vecchietti non è proprio proprio piaciuto. L’Italia di oggi è un’Italietta senza cervello, ormai rimbecillita dalla propaganda, vecchia, arrabbiata, infelice, incapace di comprendere un momento assoluto nemmeno quando glielo mandano davanti. Benigni ieri è stato assoluto per quel che ha detto, fatto, ma anche non detto e no fatto. Eh, però Benigni non doveva… Già, non doveva ribaltare l’ordine costituito scovando dalla Bibbia un testo che parla di sesso. Anche perché forse, banalmente, ci ha ricordato un po’ troppo chiaramente che non il sesso non lo facciamo più.
Il letame e i fiori.
Dalla bocca di Benigni spuntavano i fiori e si riversavano su quella marea di letame che aveva davanti. Benigni parlava e io credevo che il pubblico come me fosse rapito. Invece era schifato, infastidito, imbambolato, oltraggiato, da tanta arte, tanta bellezza e tanto coraggio. Vedere Benigni, solo, contro l’ignoranza maleodorante di tutta una nazione, mi ha fatto tremare di rabbia. Ho sperato che il pubblico si alzasse in piedi, ma non è stato così. Il regista ha chiosato con due tre persone isolate che lo hanno fatto, in mezzo al silenzio di un applauso moscio e ai denti digrignanti di un intellighenzia resa nuda (in tutta la sua crassa ignoranza) da un atto rivoluzionario. Quale? La cultura. Provo dispiacere: ho visto davvero una cosa straziante. Ho visto un paese che è stato la culla della cultura mondiale, negare il diritto all’immortalità per Benigni dopo questa sua performance indimenticabile. Mi sento un esule in patria. Un esule che ha un figlio italiano. E mi dispiace per lui.
Il senso dello schifo.
Sanremo è una pantomima per anziani, una ricostruzione della psicologia degli anni ’50 innervata proprio dalle sue battaglie contro il sessismo o le etichette. Sembra che quando si slancia in avanti (come quando ha fatto vedere il rapper con la SLA) lo faccia per distribuire la sua pietà o il suo perbenismo. Intanto, però, i giovani ci sono ma non parlano e il dopo festival arriva solo su Rai Play e all’ora in cui gli unici in giro sono gli ubriachi, le puttane, le guardie, i ladri e i giornalisti. Intanto sul palco ci vanno i Ricchi e Poveri che, assieme, hanno la stessa età dei Sassi di Stonehenge. I giovani, qui, non ci sono, a meno che non arrivino come Lewis Capaldi e poi, dopo due canzoni, mi raccomando fuori dalle balle che sta per cantare Ranieri. Non hanno neanche il senso dello schifo. Io sì: ho chiuso il televisore, subito dopo Benigni. Non ho resistito: dopo Roberto il niente.
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