All’inizio di questa settimana ero a Roma per lavoro. Sono arrivato, pioveva, ero in ritardo. Roma, la pioggia e il ritardo a un appuntamento di lavoro sono tre cose che odio. Sinceramente odio anche i taxi e quella sensazione di essere sempre fregato da una frenata furba o sa una via alternativa perché “signò, la sta bloccato e passando deqqua famo prima”. Il mio tassinaro mi ha accolto davanti alla stazione con questo gesto che ho preso in modo furtivo e che vedi nella foto in evidenza.
Stai vedendo bene. Non stropicciarti gli occhi, stai vedendo bene. Già, per andare in una certa via di Roma ha tirato fuori il mitico stradario (credo che l’ultimo usato da me avesse ancora lo Stato della Chiesa e il Regno delle Due Sicilie) per capire dove andare. Io l’ho guardato atterrito e ho pensato a tutte le minchiate che un milanese a Roma può pensare, tutte in un istante. Volevo cominciare a inveire, dirgliene di ogni, cercare di scendere e prenderne un altro. Poi l’ho guardato bene e ho chiesto: “Scusi, ma perché usa lo stradario?”.
Lui ha cominciato a parlare e mi ha portato in un buco spazio temporale in cui tutto si è fermato e i pensieri sul periodo che sto vivendo ora si sono fatti chiari e nitidi, dandomi la possibilità di capire cosa non torna. Già, perché nella mia vita di papà single c’è qualcosa che non torna. Vado con ordine e ti dico la sua risposta alla mia domanda:
“Mi chiamo Salvatore e ho 70 anni – ha detto – e ho lavorato con il computer in aziende americane quando qui in Italia manco sapevano cos’era. Sono stato negli Usa per un decennio, poi in Sudamerica. Ne ho masticati di chip e di processori, di circuiti e di software. Però le dico una cosa: alla mia età non voglio che Google Maps mi dica dove devo andare e risolva l’operazione al posto del mio cervello. Ho bisogno che la mia testa resti sveglia, ho bisogno che lavori, ho bisogno che trovi informazioni e stia in moto. Tutta questa connettività è una trappola”.
Ero sconcertato. Mi ha messo a posto tutto e chiarito il quadro a tinte fosche che avevo davanti. Ho cominciato a pensare a tutti i momenti in cui la connessione è solo una routine ripetitiva per non usare le sinapsi, a tutti i gesti antichi persi, come quello di scrivere con una penna. Ho pensato all’abbassamento del rispetto per la persona che provoca la facilità di messaggio della nostra epoca. Ho pensato al mio percorso da pare che, sebbene entrato in una fase in cui riesco a dominare la tecnologia, non è ancora arrivato alla valorizzazione di momenti e gesti in cui il magico mondo del web non ti “risolve il problema”.
Ti consegno questa riflessione per invitarti a pensare a un gesto antico e non connesso che ti piacere fare. Ecco, una volta che lo hai trovato fallo almeno una volta al giorno e, se possibile, fallo anche con tuo figlio. Il mio gesto è quello di scrivere almeno tre cose belle al giorno su un taccuino di carta. Vi dico che lo trasformo in qualcosa di più: lo trasformo in una pagina al giorno scritta a penna, in uno spunto per i miei blog. Perché scrivere, per me, è il gesto più bello del mondo. Anzi è il gesto non connesso che più velocemente ti connette al mondo. Appena vedo il mio bimbo gliene parlo. E scriviamo qualcosa insieme. Grazie Salvatore il tassinaro. Grazie per la lezione.
ps. Siamo arrivati in tempo dove dovevamo arrivare e non mi ha fregato… anzi. Mi ha fatto un regalone.