Coronavirus

I social network ai tempi del coronavirus

Coronavirus, dai parliamone.

In questi giorni sono stato incasinato, come tutti i genitori costretti a fronteggiare l’esperienza del Coronavirus in Italia nelle zone colpite da ordinanze restrittive come quella dell’obbligo di tenere a casa i bambini da scuola. Tempo per scrivere ne ho avuto poco, con i clienti da mandare avanti e il complicato esercizio di pazienza che comporta avere a casa Davide, un bimbo vivace di 7 anni. La vita ai tempi del Coronavirus, però, ha regalato anche aspetti positivi, come l’opportunità di raccontarsi al proprio figlio, la lentezza nei tempi, la possibilità di non dare per scontate cose che, in questa nostra epoca, lo sono, figlie della poca attenzione che diamo ai gesti come il saluto, il respiro, la camminata.

La stupidità è una malattia peggiore.

Ho letto molto, mi sono informato, ho seguito le ordinanze, la profilassi, le regole igieniche. Ho frequentato molto i social nei primi giorni e poi ho lasciato stare. Quanta stupidità, quante opinioni da quattro soldi, quanta disinformazione, quante fake, quanta merda. Mi ha fatto davvero incazzare il completo fallimento andato in scena nell’uso delle reti sociali proprio nel momento in cui, per noi, potevano diventare vitali. Mi spiego: le reti sociali connettono le persone, dovrebbero facilitare il contatto, creare canali di comunicazione. Invece sono state usate, in massa, per sparare tonnellate di minchiate, partendo dal presupposto di avere la verità in tasca. Ti metto un esempio pratico.

Una mamma di Milano, tale Chiara Alessi ha mandato in rete questo tweet. E’ stata blastata in modo volgare e aggressivo, ma è stata l’unica che ho visto a interpretare la connessione di cui abbiamo bisogno. Il problema è che la stupidità è un male davvero incurabile ed è un problema peggiore rispetto al coronavirus o a tutti gli altri virus che attaccano l’uomo. Provo a scrivertelo qui: le reti sociali dovrebbero essere usate per favorire la comunicazione di bisogni o necessità, non per spalmare su tutti i nostri cellulari l’ultima idiozia di qualche politico o di qualche opinionista. Questo dovrebbe essere l’uso che si fa dei social. Questo voleva dire Chiara: “Io son qui, lavoro da casa, ho due figli a casa con me. Qualcuno ha bisogno di una mano?”. Ha vinto e vince la stupidità, l’algoritmo della solitudine e della paura.

La storia di Agostino.

Ho un podcast che si chiama Algoritmo Umano e parla di tutta la tecnologia che rende migliore l’uomo. Ho invertito il piano editoriale in questi giorni di coronavirus. Ho deciso di parlare di algoritmi umani che aiutano a far ripartire il mio paese. Qualche ora fa ho pubblicato la puntata con l’amico Agostino Zaccarini, papà di Codogno e mio amico. Con lui ho tentato di mettere il punto sul virus della paura che ci sta facendo dei danni incalcolabili. Dobbiamo fare qualcosa e dobbiamo usare le reti sociali per connetterci virtuosamente. “Grazie ai social ho contattato in Svizzera un signore – ha raccontato Agostino – che ha la mamma che vive qui nel mio condominio. So che è anziana e immunodepressa. Mi sono messo d’accordo con lui e porto la spesa alla sua mamma un giorno si e un giorno no”. Ecco a cosa devono servire i social. Ad aiutarsi. Risparmiami il tuo sapere da google, evita di comunicare la paura. Comunica speranza, normalità, racconta il tuo lavoro, aiuta i negozi di prossimità, le attività in difficoltà.  Ecco la puntata del podcast. Ascoltala e diffondila.

 

Ascolta “Episodio 7 – Algoritmo Umano: Il Coronavirus, la zona rossa, Agostino e la paura da sconfiggere” su Spreaker.

 

 

 


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