“Ho realizzato un sogno, ho capito cosa fa papà”
Quando ho sentito Davide dire questa frase, te lo confesso, mi sono commosso. Mi sto sbattendo da qualche tempo per capire come possiamo fare a stare insieme io e mio figlio quando, da freelance, devo lavorare. Ne ho provate di ogni tipo, ma ancora non siamo “a buon punto”. D’altronde che io pretenda che un bambino di 5 anni e spiccioli capisca che diavolo (per non dire peggio) fa il papà, beh, è quantomeno un’utopia. Eppure ci stiamo avvicinando e giovedì siamo arrivati a un punto di svolta.
La musica come barriera.
Il tutto fino a giovedì, quando sono andato all’Università Iulm per tenere uno speech sul mobile journalism e me lo sono voluto (non dovuto) portare dietro. Ribadisco: voluto. Certo se non lo avessi fatto sarei partito con la zavorra di andare a fare un evento “da volontario” dovendo anche cacciare la 30-40 euro di baby sitter (che, peraltro. posso permettermi da poco tempo). Volevo che mi vedesse, volevo che il mio racconto del lavoro lasciasse il campo agli atti e ai fatti, alle azioni che svolgo quando faccio la mia professione. Mentre facevo il mio speech è stato con una persona che lo ha aiutato a vedere il papà in azione e lui ne è rimasto meravigliato. Ringrazio quella persona di cuore.
Riempite di bambini i luoghi di lavoro.
Ho già detto in molte occasioni che vorrei i luoghi di lavoro di questo paese riempiti di bambini, di nursery, di ninnoli e palle di spugna per non rompere le cose. Produrremmo tutti meglio, staremmo tutti meglio e, probabilmente, non saremmo tutti così isterici, nevrotici e paurosi. In Italia non è così, non si può fare.
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