Sono lunghi i giorni di questa emergenza.
Sono lunghi per noi genitori che cerchiamo di sbatterci per non essere travolti dal casino economico del coronavirus, sono lunghi per i nostri figli che vivono una condizione nuova. Da papà single convivo con le ansie e le preoccupazioni di questo momento, ma questo non mi ha impedito di guardare con attenzione alcune novità che i nostri piccoli ci hanno presentato in questi giorni. Prima di raccontartele, tuttavia, ti giro una mia impressione, sperando che tu la condivida.
Il terrore è sempre dietro l’angolo.
I soloni, i pensatori, quelli che la sanno lunga, hanno già individuato le ferite di questa generazione di figli. Ho letto grandi firme del giornalismo, gran psicologi e filosofi riferire della devastazione interiore che subiscono i più giovani in questo periodo di quarantena. Ho visto maestri di penna trovare il male ovunque e caricare noi genitori della responsabilità di lenire le ferite da isolamento dei pargoli. Per papà e mamma, quindi, c’è una bella lista di cose da fare. I nostri eroi, infatti, devono perdere i genitori senza fiatare, devono perdere il lavoro, rifarsi di nuovo la vita, far fare i compiti ai bambini, essere contenti, lenire le ferite dei figli. Sono arcistufo di questi signori che sanno tutto loro e che ci vomitano addosso tutto quello che dobbiamo sopportare e, come ciliegina sulla torta ci mettono pure il disagio psicologico dei pupi. Ribalto l’ordine delle cose e dico: i nostri figli non hanno niente che non va, anzi sono meglio di noi nell’affrontare questa emergenza pazzesca.
Bambini e coronavirus: le loro nuove doti
“I grandi devono fare tre cose: lavorare, stare coi bambini e stare con la natura”: così parlò Davide Facchini, mio figlio. In questi giorni con lui ho visto comparire la pazienza di attendere che il papà finisca un lavoro, la noia coltivata a colpi di occhiate fuori dalla finestra, l’auto regolarsi nel fare cose molto digitali e cose molto analogiche. Ho sentito da mio figlio frasi di grande conforto, l’ho sentito con forza urlare “Cacca virus, scio!”. Insomma, ho visto tanti bambini essere spalla dei loro genitori, diventare maturi velocemente, riuscire a interpretare il loro ruolo senza essere oltraggiati dalla tragedia del nostro mondo.
Bambini e coronavirus: guarda che ci guardano.
“I bambini non perdoneranno” diceva una nota di Conchita De Gregorio su Repubblica qualche giorno fa. Già, ha ragione, ma non nel senso che intende lei. Già, perché i bambini, i ragazzi il loro lavoro lo sanno fare e lo stanno facendo. Guardate la scuola: non siete fieri dei vostri figli che dopo due mesi di lontananza dalla scuola riescono ancora a fare i compiti tutti i giorni. Tutta la generazione dei loro genitori, me compreso, si sarebbe arresa da tempo, al posto loro. I bambini, quindi, non perdoneranno se non sapremo costruire un nuovo mondo per loro. Loro, infatti, stanno rinunciando a moltissimo e lo stanno facendo senza grandi rimostranze. Si fidano dei loro genitori e di Beppe Conte che, ogni tanto, compare e dice che bisogna stare a casa.
Il bello del Coronavirus
Già, pur con tutto il rispetto della tragedia e dei morti, anche questa pessima esperienza del Covid-19 ha dei lati buoni. Il rapporto dei bambini con la scuola, per esempio, cambia. Per forza o per amore. Non è detto che sia per forza in peggio. Anzi. Ho già riferito nell’ultimo pezzetto di qualche giorno fa che l’obbligo a fare i compiti non regge più, il voto ormai è sparito dai radar. L’apparato regolamentare della scuola è andato perso, ma non è andato perso il senso della scuola che maestri e professori stanno sbilencamente tenendo insieme. Della situazione scolastica e del dramma assoluto della riapertura degli ambienti di lavoro senza il supporto scolastico per i genitori ha parlato la collega e amica (e supermamma) Elena Inversetti in un pezzo su Linkiesta.
A questa radiografia impietosa con speranza finale aggiungo una cosa. Il bello del Coronavirus è che i ragazzi sono davvero impegnati a trovare il senso delle cose, il senso di questa tragedia e i gli anticorpi per combatterla. Se sono bambini disegnano il virus senza paura e buttano fuori i timori, anche con sani, sanissimi, momenti di sclero. E’ giusto che questo avvenga, sarei preoccupato se i nostri figli fossero belli tranquilli. Se sono ragazzi, invece, li vedo intenti a chiedere, a riattivarsi, a decidere del loro futuro. Già, perché il loro futuro sarà un futuro nel quale conteranno qualcosa e anche questo mi pare di averlo già scritto. Sono anche impegnati a trovare il senso della scuola attraverso la costanza che hanno nel partecipare alla vita virtuale della loro classe, anche se nessuno li obbliga. Ormai… Forse è quello il senso della scuola, forse crescere insieme e stare vicini anche in questa situazione tragica è il senso più vero della scuola. Ci hai mai pensato?
Bambini e coronavirus: si sta ribaltando tutto.
Bambini e coronavirus è un binomio che tutti guardano con terrore e io con speranza. Con la speranza che il male faccia bene ai nostri figli e anche a noi. Questi bambini sono un portentoso ricostituente e sono un potente alleato per la fase 2, quella nella quale noi saremo ancora di più nella merda. Già, perché piano piano stanno imparando la noia, fanno sogni più grandi di prima, pretendono di meno, usano la tecnologia con un senso che non è solo legato all’intrattenimento, ma molto più di prima alla conoscenza.
Avevamo paura di dover crescere un’altra generazione di assenti, ma ragazzi, sappiatelo. Avendo incontrato centinaia di giovani ho guardato negli occhi la generazione dopo la mia. Se quelli della mia età non faranno troppi danni nello scrivere le prossime regole della convivenza mondiale e dell’economia, i giovani di oggi ridaranno al mondo la speranza. Sinceramente sarò naif, ma di pensare questa cosa io ne ho proprio bisogno.
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